Film a confronto: il tema dell’Olocausto da due punti di vista differenti.

L’Olocausto è una pagina del libro dell’Umanità da cui non dovremmo mai togliere il segnalibro della memoria. Una delle più grandi e gravi tragedie umane sulla quale si basano i lungometraggi “Un Cielo stellato sopra il Ghetto di Roma” e “Il figlio di Saul”.

La critica si è espressa a preferenza de “Il figlio di Saul”, film del 2015 diretto dall’ungherese László Nemes, vincitore del premio Grand Prix Speciale della Giuria al Festival di Cannes 2015, premiato come miglior film straniero ai Golden Globe e agli Oscar nel 2016 e ai British Academy Film Award nel 2017. Al contrario, il film del 2020 dell’italiano Giulio Base “Un cielo stellato sopra il Ghetto di Roma” non regge il confronto con il colosso internazionale, trovandosi senza neanche un riconoscimento.  

Il tema principale è lo stesso ma il modo in cui i due film ne parlano è completamente differente. “Un cielo stellato sopra il Ghetto di Roma” tratta l’argomento in maniera più leggera, riprendendo l’impostazione e il linguaggio semplice dei teen drama. “Il figlio di Saul” ha una invece trama molto cruenta e cruda che rappresenta al meglio quello che è stato l’Olocausto. Proprio per questo, laddove nel film di Base la scenografia è veramente poco curata e la colonna sonora risulta banale e mediocre, “Il figlio di Saul” riesce a sorprendere lo spettatore con l’effetto claustrofobico della narrazione, già forte di suo, enfatizzato da un diaframma chiuso che rende sfocato tutto ciò che accade intorno al protagonista.

La camera a mano lo segue continuamente con inquadrature a prima vista illogiche, senza totali. La prospettiva di Saul è apparentemente soggettiva e sono estremamente importanti i rumori di sottofondo che mettono volutamente angoscia nello spettatore né più e né meno delle immagini che li accompagnano. Solo inquadrature ravvicinate, forzatamente parziali, inconcludenti, “rumorose”: infatti il lavoro sul sonoro è strepitoso. Inoltre, Geza Rohrig, attore non professionista che interpreta Saul, è a dir poco eccellente nella sua continua corsa nell’inferno del campo, alla ricerca di un rabbino per poter dare una degna sepoltura al corpo del figlio.  

Il pubblico, ancora troppo sensibile e abituato al tipico finale “e vissero tutti felici e contenti”, non riesce a cogliere l’importanza della testimonianza storica del film di Nemes, che racconta senza troppi fronzoli la dura verità della Seconda Guerra Mondiale. Al contrario il film italiano di Giulio Base sembra quasi voglia far passare in secondo piano quello che dovrebbe essere il tema principale, tenendo incollato allo schermo la sua audience solo con la storiella d’amore creata fra i due protagonisti. In questo modo il film diventa la solita banalità da ragazzi, lasciando l’Olocausto come una background story.

IL PODCASThttps://www.spreaker.com/episode/48486391

Rosapia Laperuta, Marina Ilieva, Alessandro Clementoni, Alessio Tomassetti, Andreas Serafini, Elio Capaldo e Vittoria di Serafino.